L’ A.R.I. non ritiene sottoscrivibile la petizione lanciata da Italia Nostra ed ORA.
La petizione infatti connette, a partire dal titolo, un generico appello a tutelare i beni culturali (richiamando anche l’ormai abusato articolo 9 della Costituzione) con il sostegno ad un gruppo specifico di Restauratori. Le cose non stanno in questi termini e per chi abbia voglia di capire veramente cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
L’appello chiede attenzione per i Restauratori provenienti dalle Scuole di restauro del Ministero dei beni Culturali – la prima delle quali venne fondata da Cesare Brandi nel 1939 – originariamente triennali e poi quadriennali. Percorsi, come noto, che rilasciavano un diploma formalmente riconosciuto e che hanno storicamente rivestito un innegabile ruolo di riferimento nel panorama formativo del restauro. Negli stessi Istituti, a seguito dell’avvio – nel 2009 – dei nuovi corsi a ciclo unico quinquennale e grazie alla sinergia operativa tra il Ministero dei beni culturali e quello dell’Università viene invece oggi rilasciato un titolo equiparato alla laurea magistrale.
Proprio in virtù del ruolo di riferimento, metodologico e formativo, storicamente rivestito da tali Scuole, è moralmente sostenibile la richiesta di rendere equipollente/equiparato quel diploma, rilasciato precedentemente all’entrata in vigore della nuova normativa, con la laurea magistrale attuale, trovando un modo per superare le difficoltà esistenti sul piano tecnico e giuridico. Tema, del resto, sul quale anche l’A.R.I. si sta spendendo concretamente. Tuttavia l’A.R.I., invece di prendere in considerazione solo i diplomati di tali scuole, intende tenere conto anche delle varie ed articolate differenze esistenti e delle eventuali distinte necessità di integrazione del percorso formativo di tutto il panorama dei Restauratori di beni culturali qualificati ai sensi di legge. Così come intende tutelare il valore legale della qualifica professionale, abilitante all’esercizio della professione, anche ai fini della possibilità – per tutti i professionisti qualificati e non solo per alcuni – di partecipare ai pubblici concorsi (tipo quello che uscirà a breve per i 500 funzionari del MiBACT) o proseguire gli studi in ambito accademico.
Quello che la petizione non dice, infatti, è che dopo decenni di ricorsi, bandi avviati e sospesi e modifiche normative, si è da pochi mesi finalmente avviato un procedimento di verifica della documentazione comprovante la qualifica professionale di Restauratore dei beni culturali, in esito al quale il MiBACT predisporrà e aggiornerà un elenco vincolante dei professionisti abilitati all’esercizio della professione.
Elenco che consentirà allo stesso Ministero di esercitare la funzione di tutela del patrimonio culturale, costituzionalmente prevista (e richiamata nel titolo della petizione), avendo finalmente modo di rendere pienamente attuabile quella norma del Codice dei beni culturali che recita “gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia”. Elenco, per altro, nel quale confluiranno anche i nuovi laureati provenienti dai corsi di laurea quinquennali a ciclo unico.
Appellarsi all’art 9 della Costituzione, oggi, per sostenere che difendere i diritti di pochi, tra coloro che sono in fase di attribuzione della qualifica, sia funzionale a tutelare il patrimonio storico artistico non solo risulta pretestuoso e fuorviante, ma in qualche modo significa anche, indirettamente, esautorare il MiBACT quale organismo istituzionalmente deputato ad attribuire valore alla Qualifica di Restauratore di beni culturali.
Procedimento, quello in corso, molto delicato e storicamente rivoluzionario, che l’A.R.I. ha sempre chiesto che si attui con rigore, spendendosi in molti modi e sempre con proposte concrete. Procedimento che, non va dimenticato, è esso stesso, prima ancora dei titoli, funzionale ai fini della libera circolazione dei professionisti in Europa ed è indispensabile che venga concluso rapidamente affinché siano forniti da un lato, strumenti certi per i professionisti italiani che vogliano lavorare in paesi esteri, dall’altro regolamenti circa i requisiti richiesti per l’ingresso di quelli che in Italia vorranno esercitare la loro professione.
Fatta chiarezza sulle premesse veniamo alle richieste, che costituiscono il cuore della petizione, poiché rappresentano ciò che si sottoscrive. Qui emergono i reali paradossi evocati nella petizione, perché, a fronte della richiesta di equipollenza alla laurea specialistica (EQF7), perorata nella premessa, nella parte conclusiva, inserendo – senza spiegarne il significato – un riferimento ad un livello formativo europeo superiore (EQF8), si reclama invece l’equipollenza alla scuola di specializzazione e/o al dottorato di ricerca.
Affermare, infatti, che il titolo delle SAF antecedente al 2009, ovvero precedente al momento in cui i Ministeri dei beni Culturali e dell’Università hanno strutturato congiuntamente il nuovo percorso a ciclo unico quinquennale, sia superiore alle nuove lauree magistrali reclamando l’equipollenza al livello formativo europeo EQF 8 (che corrisponde,come detto, alla scuola di specializzazione e/o al dottorato di ricerca), non solo non è coerente con quanto enunciato nelle premesse, ma non ha alcuna presunzione logica. Vuol dire, infatti, paragonare corsi di 3/4 anni a percorsi di 5 + 2/3 anni. Quel che è più grave è che, collocando tale titolo a un livello superiore di formazione, significa implicitamente e altrettanto paradossalmente non riconoscere valore alla formazione attualmente in corso, ritenendo insufficiente o nullo, il titolo al momento rilasciato dalle Università, dalle Accademie e dalle altre Istituzioni accreditate da una apposita commissione interministeriale.
Altro vero paradosso della petizione è che, legittimando la richiesta con il pretesto di agire in nome della tutela del patrimonio storico artistico – chi non sottoscriverebbe un’azione in tal senso? – si invita invece ad avallare la costituzione di un elenco che privilegia una ristretta cerchia di professionisti, a danno di tutti gli altri abilitati dal MiBACT all’esercizio della professione.
Chiedere, infatti, un albo “esclusivo”, per i soli diplomati SAF, di livello “superiore” a quello previsto dalla qualifica in corso, sottintendendo anche che ciò sia indispensabile per garantire la tutela del patrimonio, è non solo paradossale e irragionevole ma del tutto illegittimo e pretestuoso.
Considerato che la qualifica, con il procedimento in corso, abiliterà, infatti, all’esercizio della professione, non solo i diplomati SAF ma anche, come detto, molti altri soggetti che ne hanno titolo, l’albo richiesto non svolgerebbe alcuna effettiva funzione di tutela dei beni culturali, viceversa impedirebbe ad altri Restauratori, con competenze accertate dal MiBACT, la possibilità di operare. Il tutto con un evidente danno economico e professionale. In altre parole significherebbe chiedere che venga attribuita una posizione dominante, nell’ambito dei lavori pubblici ed in campo professionale, a pochi eletti: istanza irricevibile sul piano giuridico e finanche incostituzionale ma soprattutto irrispettosa della reali capacità di tutti i professionisti coinvolti.
Per i motivi sopra esposti l’A.R.I. ritiene la petizione non sottoscrivibile.
Scarica la Posizione ARI petizione Italia nostra Ora_1