Riproponiamo la lettera dell’ARI riguardante il caso del Colosseo, come pubblicato sul Messaggero del 24.01.2015:
L’A.R.I. Associazione Restauratori d’Italia precisa di non aver sottoscritto l’articolo sul restauro del colosseo pubblicato dal Messaggero, nella rubrica “lettere”, il 18.01.2015.
L’articolo solleva, tuttavia, problemi più volte denunciati dall’ARI che attestano una drammatica involuzione della storia del restauro italiano.
La preferenza accordata alle imprese edili, anche per lavori dove è richiesta una specifica competenza tecnica, come quella del restauro specialistico, deriva dall’errata convinzione, sviluppata nell’ultimo decennio, che siano operatori più strutturati e organizzati, e dunque una tipologia di azienda più adatta a sostenere la gestione economica dell’organizzazione di cantiere.
Per sottolineare questa differenza non è un caso che, anche dove si riesca ad aprire un dibattito, le “imprese edili” siano contrapposte non già ad “imprese di restauro”, ma a “restauratori”. In questo modo si rimarca, anche lessicalmente, che non c’è la volontà di un confronto tra due tipologie di aziende, ma tra imprese e singoli professionisti ed in questo modo i secondi possono più agevolmente essere assoldati come dipendenti o consulenti dei primi, superando anche i divieti di subappalto.
L’effetto di discredito della categoria delle imprese di restauro, tuttavia, non è solo lessicale, ma si traduce concretamente nel fatto che i singoli professionisti, estromessi dall’ambito imprenditoriale e privati della relativa capacità decisionale, non sono più liberi di scegliere le soluzioni deontologicamente migliori, ma solo quelle economicamente più redditizie per il proprio datore di lavoro, l’impresa edile.
Così, anche nel restauro, ha la meglio una logica puramente speculativa, tratto caratteristico della società contemporanea e le imprese di restauro specialistico che pure esistono, rimangono schiacciate dalla prepotenza economica di quelle edili.
E da questa logica prettamente economica non si sottrae neanche la fase di aggiudicazione degli appalti di restauro, poiché a prescindere dalla modalità tecnica prescelta, i ribassi hanno raggiunto valori che non tengono in alcun conto che l’interesse superiore dovrebbe essere la tutela del patrimonio culturale italiano e non il risparmio dell’amministrazione.
Poco importa, pare, che questo sia un principio sancito dall’articolo 9 della Costituzione.
Il Presidente A.R.I.
Antonella Docci